Sviluppo alternativo o alternative allo sviluppo?
Il Forum Sociale Mondiale, si presenta come il cantiere di idee e proposte alternative al sistema globale attuale, caratterizzato dalle politiche neoliberiste promosse dalla triade: Banca Mondiale, Fondo Monetario e Organizzazione Mondiale del Commercio. Proprio per questo motivo, ALTERRATIVE (mai nome più azzeccato) ha deciso di andare a Tunisi e partecipare a dibattiti e riflessioni sul perché il sistema attuale dovrebbe essere cambiato e sulle varie strade percorribili per costruire un mondo più giusto.
Una prima riflessione riguarda il significato delle parole e la tipologia del linguaggio utilizzato per definire i concetti di modello, sistema e sviluppo. Nell’immaginario collettivo la parola sviluppo ha un significato positivo: i paesi “sviluppati” sono i paesi che contribuiscono allo sviluppo globale, i cui i cittadini hanno accesso a tutti i bisogni primari e non, in cui i diritti civili, sociali ed economici sono riconosciuti dalla costituzione a tutte le persone che vivono all’interno del loro territorio, senza distinzione di sesso, razza, religione. Viceversa, i paesi “sotto sviluppati” o in “via di sviluppo” sono i paesi che, ben lontani dall’integrazione politica ed economica, si pongono come antagonisti e/o aspirano a diventare “sviluppati” anche loro. Siamo sicuri che sia proprio così? La parola sviluppo viene spesso utilizzata in campo economico, oppure abbinata ad aggettivi qualificativi, ad esempio “sostenibile” o “inclusivo”, nel settore sociale, nel quale prevale un’idea specifica di sviluppo che vuole imporsi come l’ unica via possibile.
Il concetto di sviluppo, cosi come si è affermato negli anni 60/70, rivisto poi negli anni 90, sta attraversando una fase critica nella quale emergono e si affermano nuovi diritti e nuove esigenze, soprattutto per quel che riguarda la questione ambientale, i diritti collettivi, l’inclusione delle popolazioni autoctone e delle popolazioni migranti.
Questioni che spingono a rivedere non solo il concetto di sviluppo in sé ma anche i criteri con i quali si misura il grado di sviluppo di un paese. Ad esempio, i criteri dovrebbero prendere in considerazione come lo sviluppo ha permesso a tutti i cittadini il pieno godimento dei frutti della crescita economica di un paese, come è cambiato il mercato del lavoro, la crescente precarizzazione, qual è l’impatto delle attività produttive sull’ambiente e in che misura esse hanno inciso e condizionato le attività e le relazioni umane. Inoltre, è importante verificare in che termini lo sviluppo ha portato ad un ampliamento dei diritti civili, ha favorito ad una maggiore partecipazione democratica e una progressiva integrazione delle popolazioni indigene e immigrate.
Questi cambiamenti socio-economici sollevano altri interrogativi, ad esempio: ha ancora senso parlare di stati nazionali piuttosto che plurinazionali?
Le costituzioni di Ecuador e Bolivia rappresentano un’importante testimonianza in tal senso. In entrambi i paesi, infatti, movimenti sociali di diversa natura (donne, ecologisti, contadini, di gruppi marginalizzati) sono stati coinvolti nella redazione delle rispettive costituzioni ed hanno condizionato la scena politica, portando alla guida del paese presidenti di origine indigenza, Evo Morales e Rafael Correa Delgado eletti e confermati al potere per ben 3 volte. La costituzione ecuadoregna, ad esempio, definisce lo sviluppo secondo i criteri di ‘buen vivir’, riconosce Il kichwa e lo shuar come lingue di relazione interculturale, accanto al castigliano che e’ la lingua ufficiale. La titolarità dei diritti è attribuita sia alle persone sia alle comunità, ai popoli e ai collettivi, e accanto alla democrazia rappresentativa la costituzione fa spazio anche a quelle diretta e comunitaria. Sempre in Ecuador al capitolo riguardante lo sviluppo, riconosce il principio di sovranità alimentare. Principio che vuole andare al di là di quello di sicurezza alimentare, perché pone come condizioni fondamentali e necessarie il riconoscimento del diritto alla terra, di proprietà dei mezzi di produzione, di difendere la biodiversità contro l’imposizione delle monocolture.
Il riconoscimento di tali diritti nelle costituzioni può rappresentare un primo passo verso la loro effettiva affermazione e pieno godimento e gettare cosi le fondamenta di un sistema alternativo a quello attuale. Tuttavia ci si domanda se sia possibile affermare un sistema alternativo all’interno del quadro del sistema che si vuole contestare e se la risposta alternativa sia unica. Occorre infatti mettere in discussione anche il fatto che ad un sistema non corrisponda un’unica alternativa, ma che ad uno può corrispondere una pluralità di alternative, ciascuna come risposta a specifiche esigenze settoriali, promosse quindi a livello locale piuttosto che globale.
Qual è dunque il percorso da seguire? Quali sono gli obiettivi che lo sviluppo vuole perseguire? L’agenda di sviluppo post 2015 delle UN propone una più stretta collaborazione tra il settore privato e quello sociale, riaffidando in questo modo al concetto di sviluppo una mera accezione economica, lasciando poco spazio ad iniziative della società civile ed imponendo un sistema che spinge all’individualismo e svilisce il senso di comunità.
In tale scenario, il ruolo svolto dai movimenti sociali potrebbe dare un’importante contributo al processo di ideazione e applicazione di alternative al sistema in atto, che favoriscano un’inversione di tendenza e che permettano il riconoscimento universale dei diritti nel rispetto delle diversità.