Donne, sovranità alimentare e cambiamento climatico.
Uno dei temi e fili conduttori piu’ importanti del Forum Sociale Mondiale 2015 di Tunisi è il problema del cambiamento climatico, il quale è stato presentato da prospettive diverse, sottolineandone i legami con altri temi, analizzandone le conseguenze sulla vita degli esseri umani e sull’ ambiente. Un aspetto a cui ALTERRATIVE ha prestato particolare attenzione è l’impatto del cambiamento climatico sulle donne e la questione di genere, presentata attraverso l’esperienza e la testimonianza di associazioni e cooperative della Tunisia, Senegal, Etiopia, Colombia, Vietnam e Rwanda.
Le conseguenze del cambiamento climatico riguardano certamente tutti noi: uomini, donne, giovani, bambini, anziani, ma diverso è il loro impatto in relazione al ruolo che ognuno di noi svolge all’interno del sistema produttivo, economico e sociale. I gruppi piu’ vulnerabili della società sono quindi i gruppi che maggiormente subiscono le conseguenze dei cambiamenti climatici. Tra questi, sono proprio le donne a soffrire di più dell’impatto climatico, in considerazione dei lavori da loro svolti e delle condizioni a cui sono soggette: difficile accesso alle risorse naturali ed economiche, mancanza del pieno riconoscimento dei loro diritti, di un’effettiva consapevolezza del problema del cambiamento climatico e della catena di cause-conseguenze ad esso correlata.
Le donne sono principalmente impegnate nel campo dell’agricoltura (circa il 70% nei paesi a basso reddito con deficit alimentare), ma anche della trasformazione dei prodotti agricoli, si occupano della nutrizione e della gestione dei rifiuti e degli scarti prodotti dalle attività giornaliere proprie e della loro famiglie. In media, ogni giorno le donne impiegano da una a quattro ore per raccogliere il combustibile e l’acqua necessaria per cucinare. Secondo un recente studio in Tunisia, solo il 15% delle donne intervistate ha dimostrato di essere a conoscenza del problema del cambio climatico.
In molti paesi del mondo, tra cui Tunisia e Senegal, sono state proprio le donne le prime a proporre ed adottare metodi alternativi di coltivazione e ad introdurre l’agricoltura biologica. Femminismo e sovranità alimentare costituiscono un binomio fondamentale per l’affermazione dei diritti di proprietà, di difesa delle biodiversità, preservazione delle colture di fronte allo sfruttamento imposto dal sistema economico e dalle nuove forme di colonizzazione. Il sistema attuale non permette alle donne il pieno riconoscimento e godimento dei loro diritti. Gli interventi volti a favorire un miglioramento della condizione economica delle donne spingono alla costituzione di cooperative per permettere il loro inserimento all’interno del sistema economico e finanziario dei loro paesi. Se da un lato la creazione di cooperative permette alle donne di sperimentare il lavoro di gruppo, la gestione delle dinamiche partecipative e dei processi decisionali, dall’altra le costringe ad abbandonare l’economia informale per inserirsi in un sistema economico basato su principi che relegano le donne a lavori settoriali, senza favorire la loro integrazione all’interno della catena di produzione e del valore.
I maggiori ostacoli sono il mancato riconoscimento del diritto di proprietà, del diritto alla terra, dell’impossibilità di investire e di interagire con altre realtà economiche e finanziarie. In paesi come il Senegal e la Tunisia, le cooperative agricole di donne sono impegnate a garantire l’accesso e la proprietà della terra delle donne, combattendo contro un sistema patriarcale in cui le donne non hanno diritto di ereditare le proprietà dai propri mariti o parenti, non hanno alcuna facoltà di gestire le risorse che loro stesse hanno contribuito ad ottenere. Un sistema che le spinge ad intestare beni che hanno acquistato con i propri risparmi a mariti, fratelli, padri. In Rwanda, il governo promuove il diritto alla terra alle donne attraverso uno specifico programma di formazione in agricoltura e la gestione di un sistema catastale dove la proprietà della terra di coppie sposate viene riconosciuta al 50% all’uomo e 50% alla donna: l’atto di proprietà viene firmato solo alla presenza di entrambe i coniugi.
Cooperative ed associazioni dei vari paesi presenti al dibattito hanno presentato i loro interventi in corso per favorire l’integrazione delle donne all’interno del sistema produttivo e della catena del valore e che promuovono quindi il riconoscimento dei loro diritti, la formazione, l’inclusione sociale sia nelle aree urbane sia nelle aree rurali, combinando tali fattori con la problematica ambientale. In Senegal, le organizzazioni lavorano con le donne che cucinano e vendono cibo di strada con progetti formativi sulla trasformazione delle materie prime, igiene, vendita e regolarizzazione delle attività economiche, tutelando le lavoratrici attraverso la creazione di cooperative. In Colombia, le associazioni hanno condiviso il lavoro fatto con la Waste Pickers Association (Associazione di Raccoglitrici di Immondizia) a Bogotà. La capitale colombiana riceve ogni anno migliaia di persone, principalmente donne, che lasciano le zone rurali per raggiungere la città in cerca di lavoro e fortuna. Insieme a loro, tanti afro-colombiani non ancora integrati nella società. La gestione dei rifiuti e il riciclo hanno rappresentato un’occasione di lavoro ed integrazione sia per le donne sia per gli afro-colombiani, che hanno preso in mano la cura dell’ambiente della città visto le carenze del sistema della municipalità in materia. I recicladores combattono per il riconoscimento del lavoro da loro svolto ogni giorno al fianco dell’associazione che sensibilizza la società sulla tematica ambientale e sul riconoscimento dei diritti delle donne e delle minoranze etniche. Le donne attive nel lavoro di raccolta dei rifiuti, fatto quindi per lo più in strada, sono considerate spesso come prostitute e non sono rari i casi di violenza. Per questo motivo l’associazione si batte contro il macismo e l’affermazione di un sistema di protezione che riveda il ruolo di donne e uomini all’interno della società e della famiglia. Anche ad Addis Abeba, in Etiopia, la raccolta dei rifiuti rientra nel settore dell’economia informale, nel quale circa il 70% sono donne. Insieme a loro le organizzazioni lavorano per impedire lo sfruttamento e favorire l’inclusione sociale, accanto al riconoscimento del lavoro svolto a favore dei cittadini e dell’ambiente. Queste attività sono affiancate alla formazione sulla gestione dell’uso di energia nelle case, come, ad esempio,l’ utilizzo di biogas prodotto dai rifiuti domestici. In Vietnam, il processo di recupero psico-sociale ed integrazione delle donne che hanno subito violenza passa attraverso la raccolta e il riciclo dei rifiuti.
La difesa dei diritti delle donne e della loro integrazione socio-economica, l’affermazione della sovranità alimentare sono punti chiave per garantire un’effettiva risposta al cambiamento climatico. Allo stesso tempo, la difesa dell’ambiente favorisce l’inclusione e l’affermazione del ruolo delle donne nella famiglia e nella società, ma all’interno di quale sistema? Occorre favorire l’ingresso delle donne nel sistema attuale o puntare maggiormente allo sviluppo dell’economia informale?