Marrakech Express (e oltre…)

Marrakech Express (e oltre…)

Un piatto di tagine alle verdure frigge davanti a me, l’odore dei peperoni penetra nel naso e predispone corpo e anima ad una tranquilla cena in una setosa notte marocchina. Il piatto di tagine mantiene le verdure calde: in terracotta viene servito con un coperchio che ricorda il cappello dei berberi, gente del deserto, un cibo semplice ma sano e nutriente. Le stelle trapuntano il cielo dietro la torre della moschea, il muezzin ha già chiamato alla preghiera con la sua cantilena altisonante. La luna illumina la neve che ricopre le cime dell’Atlante, l’aria è ferma, avvolgente, inebriante, carica di spezie e aroma di tè alla menta.

La terracotta del piatto è marrone e ruvida come la terra, come le montagne e come la pelle dei berberi che la abitano. Marrone, come le mura che ancora proteggono la medina, la citta’ vecchia di Marrakesh. Mura che, ruvide e marroni, si stagliano all’orizzonte contro un cielo talmente limpido e azzurro da sembrare finto. Il cielo di Aprile sopra Marrakesh è terso, le temperature già alte, oltre i 35 gradi di giorno, ma non si suda, perché’ per fortuna c’è poca umidità.

Non sudare è una fortuna visto che lo zaino di Stefano con quasi tutti i vestiti è stato mandato in Canada e sono 2 giorni che non ne sappiamo nulla. Non un grande inizio per un giro del mondo. La cosa ci infastidisce non poco ma non ci scoraggiamo, sono cose che capitano e abbiamo fiducia che arriverà al più presto. Lo recuperiamo dopo 3 giorni andando in aeroporto, verso sera, a bordo di una vecchio taxi Mercedes, colore beige e tappezzato con un tessuto cerato e stampato con delle tigri. Nell’arancione luce del tramonto torniamo verso piazza Jemaa-el-Fna che visitata di giorno è una variegata rassegna di incantatori di serpenti, sorridenti ragazzi che vendono spremute, ragazzine di ritorno da scuola, scimmiette al guinzaglio per fare la foto con turisti dalla incongruente curiosità verso gli animali ma tolleranza verso il loro maltrattamento. Mentre la sera Jemaa-el-Fna si accende di mille luci, facce e sorrisi, inizia una nuova vita ancora più frizzante e luccicante. Migliaia di marocchini vi si riversano ad ascoltare cantastorie narrare leggende antiche e moderne, a guardare spettacoli di prestigio vecchi e nuovi, a giocare con giostre a premi da fiera di paese, ad ascoltare musicisti di strada ma anche a gustare un pasto veloce in uno delle decine di ristoranti temporanei, ma molto organizzati, che occupano la parte centrale della piazza. Durante le cena può succedere di essere approcciati da furbe disegnatrici di henne’ che in pochi secondi dipingono le mani con decorazioni esotiche. Ogni cena non può definirsi tale senza una assaggio di dolcetti marocchini, venduti da decine di carretti mobili che si spostano in giro per la caotica e vivacissima piazza.

Dalla piazza Jemaa-el-Fna, nel dopocena, si attraversano i vicoli della medina, di notte piuttosto bui e senza vita, ma di giorno brulicanti di turisti in pantaloncini, sorridenti venditori, sfaccendati dalla faccia sospetta e sudati operai che spingono carretti fra le strette viuzze di Marrakesh. Sia nella medina di Marrakesh che in quella di Fez, è d’obbligo perdersi, volenti o nolenti prima o poi succede. Camminare per le strette vie del cuore pulsante di queste antiche citta’ imperiali è un’esperienza sensoriale molto forte. Fra le grida dei bambini e i saluti dei venditori si infilano rombanti motorini e carretti motorizzati, un muezzin chiama alla moschea mentre una asino raglia, infastidito per la troppa fatica. I vecchietti seduti ai minuscoli bar a sorseggiare tè alla menta commentano gli ultimi fatti del giorno. Ad ogni passo un’ondata di odori diversi si intrufola pungente nel naso: il cumino in esposizione, lo sterco degli asini per terra, il dolce aroma dell’olio di Argan, il freddo puzzo delle interiora esposte fuori da una macelleria a fianco di una testa di capretto. Il profumo della resina e del legno che esce dal negozio di un falegname si mescola con il pungente odore di limatura di ferro che esce da quello di un vicino fabbro. La polvere accumulata nei negozi di tappeti fa starnutire ma non quanto la puzza del cuoio che proviene da decine di negozi di articoli in pelle e cuoio. Le concerie con le vasche bianco-grigio puzzolenti di escrementi di piccione e urina di capra, ma anche le vasche gialle, rosse, marroni dai colori accesi e vivaci, un processo antico, eseguito ancora a mano da uomini di altri tempi che vivono la maggior parte delle proprie giornate raschiando la pelle di vacche, capre e dromedari, a conciarli e colorarli. Scopriamo il mondo della trasformazione e lavorazione della pelle grazie ad una signora tutto-pepe che si offre di guidarci alla conceria più vicina passando in mezzo a enormi gruppi di alti e pallidi turisti nordici perplessi dalle maniere della signora che li scansa per guidare me e Daniela fra le strettissime viuzze di Fez gridando: “Sorry!…hello!??…Excuse me!”

Nel mezzo di tanta confusione si nota a volte una piccola vetrina di dolcetti fritti, fatti con l’immancabile frutta secca e imbevuti di tantissimo sciroppo di zucchero, da consumare preferibilmente con un tè alla menta o un fresco succo di limone, ancora meglio se aromatizzato allo zenzero, oppure di mandorle, mandarini, pompelmi o arance.

Abbiamo perso il conto di quanti artisti, danzatori e venditori ambulanti abbiamo incontrato: per strada si vende di tutto e, anche se spesso resistiamo, a volte è impossibile non cedere a delle patatine fritte di fresco, alle arachidi salate o dolci, ai pop corn ma anche a cibi più sostanziosi cucinati e venduti per strada come la zuppa di ceci e panini contenenti qualsiasi cosa commestibile un panino possa contenere. Nella medina si vende di tutto, dalle dentiere esposte in bella mostra, a scarpe, tappeti, scialli, tende, poggiapiedi, sciarpe tutte estremamente variopinte delle tinte più accese del giallo, del rosso, del verde, del viola e del blu.

A volte gli odori, i sapori, i colori e i rumori della medina si sopraffanno e allora cerchiamo rifugio in un parco. Incredibilmente, infatti, sia Fez che Marrakesh hanno stupendi parchi: puliti, curatissimi, pieni di gorgoglianti ed elaborate fontane, verdi giardini rigogliosi, freschi e altissimi alberi, sia locali che originari di altri continenti. Molti marocchini vi si recano per una chiacchierata all’ombra di una palma. Noi, in particolare, sudatissimi e stanchissimi dopo ore a spasso per Marrakesh, ci siamo seduti a pochi metri da un capannello di 7-8 ragazzine marocchine, tutte rigorosamente col velo, intente a chiacchierare fittamente riempiendo le loro conversazioni (in arabo ovviamente) di Facebook, Whatsapp e Twitter…

La tecnologia e la modernità occidentale, il cosiddetto sviluppo, sono presenti in maniera molto maggiore di quanto ci aspettassimo nelle citta’ e nella vita del Marocco: strade asfaltate e ben tenute, autobus nuovi e con aria condizionata, stazioni ben organizzate, enormi e luccicanti aeroporti, bar alla moda, ristoranti chic e costosissimi…a Tangeri addirittura discoteche e night club. Anche il Marocco è pieno di non-luoghi, stazioni, aeroporti, centri commerciali, bar uguali a infrastrutture simili in tutto il mondo. Non-luoghi in cui il Marocco non-è, diventa superficiale ed insipido, scompare, smette di esistere, o forse, sorge il dubbio, luoghi in cui stiamo sperimentando il Marocco del futuro? Ad ogni modo questa breve visita al Marocco ci ha permesso di scoprire un paese straordinario, molto affascinante ma anche lontano dagli stereotipi, dalle idee preconcette che avevamo. Forse anche vista la precedente esperienza in Tunisia ci aspettavamo di essere accolti in maniera più aperta, calda e sorridente dai locali, forse il fatto di aver visitato zone molto turistiche è una delle cause di questa leggera sensazione agrodolce che ci ha dato il Marocco, ma che ci dà una ragione in più per tornarci a scoprire i deserti, le spiagge dell’Atlantico e i paesini di campagna che questa volta non abbiamo potuto vedere. Emozionati abbiamo lasciato Tangeri in traghetto per attraversare le colonne d’Ercole, limite antico del mondo conosciuto. A convincerci che dobbiamo tornare in Marocco ci hanno pensato un gruppetto di simpatici delfini e le maestose balenottere che hanno fatto capolino a fior d’ acqua venendoci a salutare nelle profonde e fredde acque dello stretto di Gibilterra.

@LTERR@T!VE

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