Tutta la terra, per tutti e per sempre

Tutta la terra, per tutti e per sempre

Sembra un film, ma non lo è. I cattivi: i manager dell’università americana assetata di soldi in combutta con speculatori edilizi e multinazionali; contro i buoni: la gente di tutti i giorni, giovani timidi e sorridenti, rotonde pensionate sorridenti, signori di mezza età paffutelli che coltivano un fazzoletto di terra circondato da asfalto, auto e marciapiedi. Con le verdure ricavate si risparmiano un po’ di dollari, preziosi, soprattutto considerato l’altissimo costo della vita nella zona. A volte, la verdura viene invece venduta ed il ricavato usato per aiutare chi si trova in difficoltà, un evento imprevedibile ma alquanto frequente in una società dal licenziamento facile e dalle scarse tutele sociali come quella statunitense.

Nella patria di Hollywood ci sentiamo come in un film, siamo ad Albany, in California, un sobborgo a nord della cittadina di Berkeley, sede della prima università californiana e una delle migliori e famose università al mondo nell’area della baia di S. Francisco. Il terreno dove siamo seduti è un luogo di lotta e resistenza dei tanti David del Gill Tract Community Farm contro il Golia dell’università di Berkeley. Stiamo parlando con Vanessa Raditz, una 25enne americana che frequenta un master in salute pubblica all’ università di Berkeley e che ha conosciuto l’orto comunitario del Gill Tract come ricercatrice ed educatrice all’ interno di un progetto di analisi della qualità del suolo. Vanessa stava insegnando e ha portato i suoi studenti ad imparare presso questo magnifico orto comunitario. Da allora è coinvolta nella lotta di questa piccola comunità perché’ affascinata dalla loro teoria del cambiamento e dalle visione del mondo verso cui vogliono camminare.

Il Gill Tract, un terreno originariamente popolato dagli indiani Ohlone, e’ un terreno di 20 acri (8,937 metri quadrati) che è quanto rimane di un campo di 100 acri (405,000 metri quadri) acquistato nel 1929 dall’ università. Nel tempo il terreno è stato usato per costruire alloggi per militari e studenti. A metà degli anni 90, l’università, alla ricerca di fondi, sviluppa un progetto di sfruttamento del terreno per la costruzione di negozi e abitazioni private molto costose. Questo progetto, genera immediatamente una forte resistenza da parte della comunità e degli studenti dell’università stessa, supportati anche dalla ONG Food First la quale propose invece all’ università di trasformare il terreno in un centro di agricoltura urbana.

La comunità lottò politicamente all’interno del consiglio municipale, sollevando problemi di impatto, di regolamenti comunali e intentando cause, ottenendo così il blocco temporaneo del processo di sfruttamento commerciale della terra. La situazione rimane bloccata fino al 2012 ma, il 22 Aprile 2012, residenti della comunità e studenti dell’università, anche ispirati dal movimento Occupy nato nel frattempo negli Stati Uniti, decidono di occupare la terra: organizzano una marcia in occasione della giornata mondiale della Terra fino all orto comunitario del Gill Tract ed entrati nell’ appezzamento lo puliscono, preparano e piantano 2 acri di terra con vari ortaggi. I partecipanti, all’ 80% donne, sono un mix di persone giovani, bambini, anziani, immigrati messicani, afro-americani, senzatetto, o come dice Vanessa: “una convergenza di energie per il bene comune”. Gli occupanti campeggiano per 3 settimane per difendere la terra, contemporaneamente lanciano una campagna per raccogliere le 1,500 firme necessarie per far votare in consiglio comunale una legge locale che proteggesse la terra.

Azienda Whole Food (una catena di supermercati), il maggior investitore del progetto, si ritira dal progetto. Grazie all’ occupazione, il College di Risorse Naturali dell’università di Berkeley, che da tempo usava l’appezzamento di terreno per esperimenti di agro-ecologia, ottiene circa 10 acri in uso fino al 2022. Di questi circa 1.3 acri (5,200 metri quadrati) vengono assegnati alla comunità per sviluppare un orto urbano comunitario.

Ci racconta Vanessa come proprio il riconoscimento legale ed ufficiale del terreno abbia creato i presupposti perché molta gente si unisse al movimento. Molte persone non sarebbero entrate nel movimento in quanto l’occupazione della terra è un gesto radicale e illegale. Un altro punto forte è stato creare legami con alcuni settori dell’università interessati all’ agroecologia che hanno permesso di portare risorse a supporto all’orto comunitario.

Uno dei punti di riferimento per il movimento Occupy Farm dell’orto comunitario del Gill Tract e’ il Movimento dei Senza Terra (MST) brasiliano con cui hanno sviluppato contatti e con cui hanno avviato degli scambi in occasione di grandi eventi. Ammirano il MST per il suo successo nel restituire la terra ai contadini in Brasile e nel cambiare strategia nel corso degli anni ma anche per come si relazionano con lo Stato centrale. Infatti, come dice Vanessa: il MST cerca di attirare scuole governative finanziate dallo Stato nei loro territori recuperati con l’occupazione. Allo stesso modo noi siamo contro molte decisioni dell’università ma stiamo provando a lavorare insieme a loro per cambiare la direzione in cui l’università sta andando. Alcune persone non si sono trovate d’accordo e hanno lasciato il movimento perché volevano una opposizione più radicale all’università. Il nostro obiettivo però è portare le nostre idee al centro della discussione pubblica. Quello che vogliamo è la sovranità alimentare che si contrappone alle false soluzioni come: OGM, pesticidi, partnership pubblico-privato. Noi cerchiamo di muovere il regno del politicamente possibile verso la sovranità alimentare e questo si ottiene anche facendo qualcosa di radicale, estremo, folle al di fuori del politicamente possibile. La nostra strategia è di inseguire sogni pazzi, raggiungerli e renderli legge istituzionalizzandoli. Dobbiamo essere forti anche per bilanciare il fatto che anche il campo politico delle false soluzioni sta continuando a sperimentare e creare nuove false soluzioni.”

Continua Vanessa:Quando inizi a chiederti perchél’università non sceglie di supportare l’agricoltura ecologica urbana, la questione diventa politica e si entra nella dimensione del potere e dei soldi che stanno dietro ad alcune decisioni politiche e amministrative. Non è solo il fatto che l’università non ha fondi, dipende anche da come l’università usa quei fondi. Nel modello dell’economia neoliberale dell’austerità che incoraggia le partnership fra l’università pubblica e le aziende private. In questo momento le aziende hanno soppiantato l’interesse pubblico come guida della ricerca universitaria. Ad esempio nel pezzo di terreno vicino sempre appartenente all’università si fanno esperimenti genetici sulle piante guidati da un modello aziendale e di agricoltura industriale, i colossi come Monsanto e Novartis (ora Syngenta) hanno letteralmente comprato settori della ricerca universitaria. Lo stesso preside esecutivo associato della facoltà di risorse naturali Steven E. Lindow ha fatto carriera facendo ricerca sugli OGM e brevettando microbi ed esseri viventi, la base della vita.

Come si può capire dalle parole di Vanessa, partendo dal problema della terra, la mobilitazione sociale acquista forza quando inquadrata politicamente e socialmente in un contesto più ampio, quando il movimento acquisisce la consapevolezza che il mondo che vuole è diverso da quello proposto dai poteri forti della politica e dell’economia e decide di lottare per costruirlo.

Nonostante questo, Vanessa spera in un lieto fine: Speriamo di espandere il progetto nella parte nord e fermare la speculazione edilizia nella parte rimanente. Stiamo contestando il potere costruendo il futuro che vogliamo vedere concretizzando quello che vogliamo: tutta la terra per tutti e per sempre!”

@LTERR@T!VE

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